curatori: Manuel Devenuti, Petra Feliziani, Simone Paglialunga

direzione: Danilo Cognigni


“Non essere un uomo, essere la proiezione del sogno di un altr’uomo: che umiliazione incomparabile,
che vertigine! Andò incontro ai gironi di fuoco: che non morsero la sua carne, che lo accarezzarono e
inondarono senza calore e senza combustione… Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese
che era anche lui una parvenza, che un altro stava sognandolo…”
                                                                                                     
          (Jorge Luis Borges - Finzioni)


Il cinema che parla di se stesso, con se stesso, su se stesso. Una condizione questa pressoché scontata negli anni che ci contraddistinguono, dove il cambio generazionale, passati gli anni della Nouvelle Vague, di Fellini, Truffaut e Wilder, ha innescato il meccanismo in cui la riflessione è d’obbligo. Il tempo spiega ogni cosa, anche il senso del cinema, del farlo, del viverlo.

Eppure, il cinema riflette, parla di se stesso, da sempre: dai primi vagiti del cinematografo, quando i Fratelli Lumiere per primi mostrarono al mondo la grande invenzione, quella in cui la vita si rifletteva su uno schermo bianco. Gli sguardi in macchina già erano noti, come la concezione e la consapevolezza del meccanismo cinematografico, che osserva, studia, riprende e riproduce.

Tra i tanti, più o meno famosi, film da poter proporre, sono stati scelti quattro titoli, particolari, al di fuori di quelli che hanno fatto la storia del cinema, così tanti da poter riempire i programmi di diverse rassegne. Effetto notte, Viale del tramonto, 8 ½ , Quarto Potere e ancora altri.
Invece la scelta cade su film più particolari, recenti, innovativi nello sguardo e disillusi nella concezione filmica della finzione in senso stretto, quella che fa del cinema l’arma più potente di distrazione di massa.

Ed Wood e Si gira a Manhattan, Lost in La Mancha e Le Cinque Variazioni.

Una doppia visione. Quella dei primi due film, Si gira a Manhattan e Ed Wood, legati a modo loro dalla caratteristica della finzione cinematografica e quindi dalla duplice concezione visiva: il cinema fatto (dal regista) e il cinema visto (dal pubblico). Film che nella loro leggerezza mostrano tutto il loro essere contemporanei, liberi da quella che vuole essere la tradizionale “forma” cinematografica.

Allo stesso modo, Lost in La Mancha e Le cinque variazioni, dichiaratamente sperimentali, seppur nella loro diversità, sono “riflessioni” riflesse sullo schermo, giochi di uno sguardo tutto personale e intimo (quello del regista) che nella condivisione con il pubblico diventa un nuovo modo di vedere e vivere l’esperienza cinematografica. Effetto notte quindi, e buona visione.