Sabato 18 febbraio 2012 ore 16 -  Marco Andreani
Sabato 18 febbraio 2012 ore 18 -  Daniele Cinciripini
Sabato 25 febbraio 2012 ore 16 -  Ennio Brilli, Pacifico D'Ercoli
Sabato 25 febbraio 2012 ore 18 -  Luca Blast Forlani, Monica Caputo

  FERMO / Cappellina di Villa Vitali 

... è bello provocare un'eclissi sollevando un dito...

La piccola casa di luci e suoni è un luogo-spazio dove la notte le stanze non sono più basse, dove in attesa del giornale potresti metterti a scrivere, dove, dunque, qualcosa è sparito ed esiste prima di ogni cognizione. Dove la tazza, il cerchio, la tenda, il palcoscenico, la sedia, la cornice, il chiodo, il ricordo della gente che entra e passa, tutto insiste come sensazioni provvisorie evidenti, incorporate ed esistenti nel luogo appropriato... sei già troppo sveglio e il dubbio ti assale continuo, puoi essere individuato, descritto. Un gatto passa e ti ricorda il vicolo, guardi in alto e trovi una forma da ascoltare; la luna... dove i sassi sono inerti e sicuri di decantazione illimitata.

IN CON TRA ... chi è solo conosce la precisione, soltanto fra lo spazio delle parole lo spirito dell'intuizione che distacca i segni di significati: forse l'Arte.

Da queste tracce, fatte di evocazioni, di visioni intellettuali, di necessità, di mancanze, di ritrovamenti, emerse il bisogno di relazioni vere e allontanate dall’oggettivazione semplificata di un limitato fare. Così intorno agli anni duemila nella petite maison des sons et lumières nacque quel particolare “formato” espressivo che divenne poi negli anni a seguire un vero e proprio cultivar di incontri convergenti tra suoni parole immagini. La “piccola casa” iniziò sempre più ad appartenere alla geografia per cui anni prima fu edificata, il divenire del grande disegno iniziava a manifestarsi, la famosa canzone di Giorgio Gaber trovava anche lì risposta -Eppure continuando la nostra vita normale si potrebbe capire quello che ci serve che ci è davvero essenziale si potrebbe guardare con un certo distacco quasi sorridendo tutto quello che accade

nel delirio del mondo si potrebbe sognare un luogo immaginario e un po' inconsueto un angolo inventato o forse vero.

Per chi preferiva atteggiamenti meno “incantati” e più “asciutti” aggiungemmo che: l’espressione IN CON TRA presume e implica un concetto che rimanda a qualcosa di dinamico e in divenire. Avverbiando oppure sostantivando gli IN, i CON e i TRA, si può essere condotti a “luoghi”, a “materie”, ad “ambiti”, oppure incontrare “qualcuno” o “qualcosa” in un luogo non esclusivo ma tipico. Nel continuare a voler essere accorti nel non dare eccessiva fiducia al bellissimo pensare poetico e lasciando tutte le possibilità di ampiezza delle sensibilità e delle intelligenze di tutti coloro che si sarebbero avvicinati alla “piccola casa” fu deciso di esprimere la profondità del concetto processando talune dinamiche e coniugazioni di sintesi:
IN CON TRA Fotografia;
IN CON TRA Cinema;
IN CON TRA Musica;
IN CON TRA Poesia;
IN CON TRA Filosofia;
IN CON TRA Letteratura;
IN CON TRA Antropologia urbana.

In occasione della mostra di fotografie “La luce delle Marche” 9 fotografi raccontano il loro territorio, IN CON TRA Fotografia si ripropone. Il “luogo del pensiero” chiama di nuovo a raccolta con le stesse logiche e dinamiche con cui è stato costruito. I quattro incontri vorrebbero coltivare ancora “senso” e condivisione, approfondire nell’immaginazione, nella creatività, nell’invenzione, nella fantasia, un rapporto in cui non ci siano soltanto protagonisti e sponsor, ma poli che si attraggono nella forza della conoscenza.

IN CON TRA oggi è anche un disegno ideologico, un processo attivo basato sull’approfondimento e sul sostegno della vita sociale. La cultura dell’immagine, non è la cultura dell’immaginario; raccontare di fotografia, relazionare il suo particolare linguaggio con le terre, con le genti, con il tempo e con il paesaggio vissuto, significa anche disegnare ipotesi che vogliono far ragione nel trasferimento delle conoscenze. Troppo spesso quando si è parlato di fotografia nelle Marche ci si è limitati a questioni locali, a modelli concorrenti basati su valori di notorietà e miticismi; su semplificazioni governate da scontatezze e narcisismi.
La fotografia è un importante linguaggio, e la sua “funzione” non è limitabile all’aspetto documentale e referenziale, il dibattito sulla sua linguisticità e la sua non convenzionalità può offrire riflessioni approfondite sull’assunzione utopica del grado zero della scrittura.
Restando al lato delle usurate dispute sulla fotografia (cioè se essa sia un linguaggio, un segno, o un mezzo), gli incontri vogliono concentrarsi sulle forme e sui sistemi significanti, piuttosto che sui significati, che fanno di una fotografia, come di un qualsiasi altro testo/racconto, un oggetto di senso.

Danilo Cognigni

Sabato 4 febbraio 2012  

Conversazione con Marco Andreani (Ricercatore - Storia della fotografia)

Le logie della fotografia nella fermanità; dal referenziale alla funzione interpretativa.
Da Fermo a Senigallia; continuità e punti di non ritorno...

Affrontare un discorso critico sulla fotografia implica un’attenta analisi delle trasformazioni linguistiche che hanno aggiunto, stratificandoli nella successione del tempo, altri elementi non secondari fino al punto di mettere a riposo altri fattori (stilistici, tecnici, espressivi), considerati sorpassati.
Investigando a partire da Giuseppe Cavalli, interpolando Luigi Crocenzi, fino a giungere a Mario Giacomelli, per proseguire verso le nuove sponde della fotografia: emerge il coraggio di aver rotto con gli schemi e le convenzioni estetiche, e la volontà di superamento dei limiti locali, spesso circoscritti nel paradosso dell’autoreferenzialità.
Un “modo” della fotografia inteso come testimonianza di condizioni reali dell’esistenza, e restituito fino alla costruzione di una presa logica sul mondo, talvolta uscendo dal precetto manualistico per accedere ad una nuova dimensione interpretativa.

Sabato 11 febbraio 2012  

Conversazione con Daniele Cinciripini (Fotografo)

Considerando la foto come una memoria significata, quanto il processo genetico
incide nella ricostruzione di una memoria?

La resa delle immagini su diversi tipi di supporto e sulle tecniche dell’apporto permette di rendere significativa la sostanza dell’espressione e non solo la forma dell’espressione.
Ogni fotografia è ciò che resta di una reazione alla luce di un materiale sensibile, di qualcosa che “è stato”.
L’obiettivo si immerge nell’intimità stessa della fisionomia, facendo risaltare l’espressione caratteristica di ogni uomo.
Ed ecco la “doppia traccia” del sè reso in sovrapposizione, fotografo e soggetto posti di fronte, con impressioni sovrapposte nel medesimo istante, regolate da un livello vibrazionale che vuol condurre al minimo spazio di separazione.

Sabato 18 febbraio 2012  

Conversazione con Ennio Brilli (Fotografo) e Pacifico D’Ercoli (Fotografo, Presidente Altidona Belvedere)

Metarappresentazione e reportage; ricostruzione o servizio di scrittura documentale oggettiva?

I metodi d’inchiesta, gli strumenti, la direzione ideologicopolitica e l’onestà intellettuale.
Esiste ancora la fotografia, oppure esistono soltanto le immagini? Contenitore o contenuto?
Esiste sempre uno scopo nascosto dietro lo scatto?
Fotografia di reportage sociale; quale è “la reale connessione” tra immagine e referente?
Oggettivo oppure aggettivo?
Quale di questi due elementi lessicali dovrebbero caratterizzare la fotografia giornalistica?
Il saper vedere oppure il saper guardare? Esiste un’ambiguità fra oggettività e soggettività? Testimonianza o menzogna; quanto la fotografia è strumentalizzata ad hoc dai vari poteri, e quali sono le responsabilità dei suoi operatori? I metodi d’inchiesta, gli strumenti, la direzione ideologicopolitica e l’onestà intellettuale.

Sabato 25 febbraio 2012  

Conversazione con Luca Blast Forlani (Fotografo progetto Intruders) e Monica Caputo (Architetto, Presidente MAC)

I processi di rinnovamento della fotografia documentaria. Il paesaggio “reale”, la fotografia intesa come confine limite di una lettura che apre la natura temporale dei luoghi.

Il paesaggio non è un “luogo” distaccato, uno scenario dove l’uomo si muove solamente come unità di superficie, esso piuttosto è un insieme di aspetti percepito dagli individui.
I terrain vague, sono spazi lasciati all’abbandono, esterni, estranei, aree residuali a margine che appaiono come improvvisi vuoti urbani. Sono luoghi dove ospedali e sanatori, parchi acquatici, cartiere, orfanotrofi, ville, cinema, colonie, campi di concentramento, ecc. sono già stati depredati, danneggiati e talvolta abbattuti. Quando l'uomo abbandona questi luoghi essi cominciano a vivere una vita biologica propria entrando in simbiosi con la natura circostante. E poi tutto si trasforma in altro, come le ossa o il legno o la pietra, cambiano forma, colore e odore, e seguono un ciclo che solo l'uomo può nuovamente interrompere o modificare. Essi ci appaiono come arti menomati delle città funzionali. La fotografia può essere testimone e autrice di una forma letteraria che sa narrare l’effetto dell’indefinito che evolve nel paesaggio contemporaneo e la scena dell’indefinibile per il futuro.