fotogeografie
Dall’apparenza estetica alla geografia come immagine del
mondo
Direzione
Artistica: Lisa Calabrese e Danilo Cognigni
Luigi Ghirri scriveva a proposito di “Paesaggio italiano”:
(...),
vorrei che apparisse un po’ così, come questi disegni
mutevoli; anche qui una cartografia imprecisa, senza punti
cardinali, che riguarda più la percezione di un luogo che
non la sua catalogazione o descrizione, come una geografia
sentimentale dove gli itinerari non sono segnati e precisi,
ma obbediscono agli strani grovigli del vedere.
Tra il fotografo e <<le tracce del mondo>> si è sempre
innescato un fecondo scambio che è maturato in espressione.
Dalle apparenze che sorgono nell’aperto delle superfici e
dagli indizi del reale, scaturisce la necessità di
trasformazione in segno, e talvolta evolute in narrazione
figurale.
Come
nel leggere un libro, anche nell’osservare una fotografia,
leggiamo sempre una parte di noi stessi. Cerchiamo di
comprendere la geografia dell’invisibile, le misure del
mondo e le nostre coordinate rispetto ad esso. Lo facciamo
secondo visuali percettive, traendo dall’aspetto sensibile
l’intuizione di ciò che diviene luogo. Da queste premesse
talvolta possono nascere i motivi del raccontare. Da esse
può scaturire un <<geografare narrato>> dei luoghi e degli
spazi, da cui si traggono le insistenze e le interrogazioni,
fino a giungere ad un senso meno sagittale della
rappresentazione.
Sradicamento e perdita del luogo sono condizioni
antropologiche problematiche. La condizione epocale delle
civiltà e delle comunanze pone forte l’interrogazione
rivolta al rapporto che unisce gli uomini e il mondo,
pensato nella molteplicità singolare dei paesaggi che ne
costituiscono il volto.
Ma come possono le immagini prodotte dal fotografo entrare
in questo rapporto di reciprocità?
Si potrebbe azzardare dicendo che iniziano ad entrarci nel
momento in cui si comincia a riflettere sul nostro situarci;
il nostro essere
al
e
nel
mondo come affermerebbe (Marco Sironi).
Prossimità, superficie, soglia, limite, profondità, tempo,
volto, specchio, eco, sono concetti archetipi dell’atto
fotografico.
Le immagini vengono prodotte per essere lette. Le immagini
vorrebbero venire incontro nell’atto della lettura.
Raccontare un luogo attraverso le immagini può anche essere
semplicemente inteso come la restituzione di un tentativo,
il risultato di un muovere ad altezza d’occhio che
restituisce una traccia che permetterà di leggere e pensare.
Il fotografo s’interroga. Il legame che esiste tra essere in
un luogo e l’abitudine di stare in un luogo genera una
sospensione; gli indizi divenuti abituali a causa delle
tante immagini già viste appaiono in un velo di opacità.
Solamente per piccoli istanti è possibile avvertire una vaga
forma di definizione. Tutto si propone come condizione
incerta, disturbata, precaria. Il procedere diviene processo
analogico, dimensione significante. A piccole progressioni,
con insistenze verso una maggiore apertura dello sguardo,
superando l’inautenticità radicale, oltre le forme di
documentarismo sociale, il fotografo troverà tangenze
diverse. (Giacomo Leopardi) diceva che agli occhi di un
sensitivo dietro ad un paesaggio c’è sempre un altro
paesaggio, che si percepisce con la vaghezza o
l’indefinitezza dei fatti immaginativi.
Il fotografo procede nel bilico della percezione, scopre la
profondità dell’ambiguo. Egli esiste nello stare. È così,
come vorrebbe (Peter Handke), che l’istante della durata si
compie.
Seminario
SABATO 30 MARZO
Ore 9:30 - 12:30
Centro Congressi S. Martino
Relatore
Danilo Cognigni
Luoghi, ambienti, spazi, paesaggio.
Oltre il ruolo limite della documentazione, la fotografia
diviene “rivelazione”.
Gabriele Basilico, Francesco Jodice, Olivo Barbieri, Miklos
Gaal, Thomas Struth, Philip Lorca di Corcia, Hannah Starkey,
soltanto per citare alcuni tra gli autori contemporanei, che
oltre a fare fotografie in relazione al principio e
all’esperienza estetica della “visione”, ci hanno reso un
buon grado di restituzione percettiva riguardo a luoghi e
ambienti.
Quale è il ruolo oggi per la fotografia di paesaggio nelle
campagne fotografiche di documentazione?
Quale il significato che essa mantiene rispetto alle
storiche campagne di documentazione che si sono svolte in
passato?
Per rispondere a questo è necessario prima di tutto
osservare la principale differenza concettuale che l’oggetto
della fotografia di paesaggio, il territorio, presenta oggi
rispetto ad un recente passato. Di conseguenza si potrà
cogliere l’atteggiamento con il quale il fotografo, il cui
ruolo interpretativo oggi viene ampiamente riconosciuto,
affronta l’oggetto della sua personale interpretazione.
Quello che si chiedeva ieri, di fissare la bellezza naturale
del paesaggio o di documentare attraverso la fotografia una
realtà minacciata da cambiamenti incontrollabili, fissando
attraverso l’obiettivo della macchina fotografica i
mutamenti in atto, è adesso superato dalla chiara volontà di
tentare di fotografare il mutamento stesso, di coglierne
cioè attraverso le trasformazioni, le ragioni, l’essenza, la
direzione. Alla fotografia si chiede di più: non solo
documentazione, ma
“rivelazione”. Non solo l’espressione di una realtà, vera
pur essendo interpretata, ma le condizioni che hanno
determinato questa realtà. Come se da un ritratto di un
uomo, si volesse capire dove ha deciso di andare.
Conferenza
SABATO 30 MARZO
Ore 16:30
Centro Congressi S. Martino
Relatore
Leopoldo Freyrie
Vedute e paesaggi.
Architetture, insediamenti urbani, sistemi viari, periferie,
lontananze.
L’architetto Leopoldo Freyrie, Presidente del Consiglio
Nazionale degli Architetti, svilupperà una riflessione sul
complesso rapporto tra fotografia e paesaggio, per il quale
oggi vanno ri-cercate nuove visioni.
Modo espressivo profondamente progettuale, la fotografia
inserisce in un discorso di senso luoghi ed architetture
visivamente consumati da “occhi
che non vedono
più”
(Le Corbusier).
I paesi, le città, e i popoli hanno un corpo e un’anima; ma
corpo e anima ce l’hanno anche i palazzi, i ponti, i muri, i
giardini, le decorazioni e i materiali. Il mondo diventato
piccolo, reso sempre più piccolo dalla facilità della
comunicazione, ma è ancora difficile da decifrare.
Ad esempio: che cosa significa effettivamente per i suoi
abitanti la forma di una città, oppure di una casa?
La mutevole relazione tra paesaggio e modi d’uso dello
stesso ci interroga, inoltre, sull’opportunità di un impegno
civile nel recupero e nella riqualificazione degli spazi per
focalizzare l’obiettivo di una città sostenibile ed
inclusiva.
Incontro
SABATO 30 MARZO
Ore 17:30
Centro Congressi S. Martino
Dialogo sul fotografare tra Giorgio Conti e Francesco Jodice
Narrazioni fotografiche da
Paesaggi sociali.
Dalle immagini - documentazione alla visione -
interpretazione geo-poli(s)tica.
Per Roland Barthes ne
La Camera Chiara,
la fotografia ha a che fare sempre con “ciò
che è stato”, con un’ibridazione tra il reale e il passato,
tra la fruizione razionale
Studium
delle informazioni che provengono dalle immagini e il loro
valore emotivo: fino alla scoperta di un dettaglio
Punctum.
Nella poetica sociale di Francesco Jodice
esite un rapporto tra storia e memoria, derivante da una
interpretazione dei fatti sociali e urbani che generano la
storia contemporanea globale e globalizzante. Si disvela
nelle sue narrazioni fotografiche un enigma del passato
presente, che ci riporta alle riflessioni filosofiche di
Paul Ricoeur.
In
Ricordare, dimenticare, perdonare.
L’enigma del passato,
Ricoeur distingue innanzitutto fra storia e memoria. Non si
possono confondere, sostiene l’autore, perché la storia
ha essenzialmente una funzione critica e
troppo spesso la memoria
si confonde con l’identità che tende, all’opposto, a
risultare acritica. Ricoeur sostiene anche la necessità di
distinguere tra avvenimenti e fatti storici ed elenca tre
processi per “documentare”, “spiegare”, “interpretare”. Se
scrivere la storia è narrazione, significa «inventare un
racconto», che non deriva semplicemente dalla lettura
dei documenti (altrimenti
esisterebbe
un’unica storia, un pensiero unico). Che cosa significa,
poi, “spiegare” la storia? Spiegare ha a che fare con
l’immaginare una storia, il ricostruirla non essendone stato
protagonista, in base a documenti-avvenimenti che compulso e
proietto, con auspicato equilibrio, verso una forma
possibile.
La
terza parte, è “l’interpretare”, quella più difficile: si
tratta di dare un valore alla storia che si racconta. È la
fase più interessante perché dagli avvenimenti, dai fatti
storici, attraverso le “spiegazioni”, arrivo a definire
un’ipotesi interpretativa.
Le narrazioni fotografiche di Francesco
Jodice diventano una visione dell’esistere:
Life through the lens.
Una poetica non pervasa da estetismi decorativi o manierismi
sorprendenti e postmoderni, ma che si e ci interroga su:
What we want to see?
delle nostre città e soprattutto delle nostre esistenze
sociali, in un mondo pervaso dall’individualismo
competitivo. Uno sguardo, che creando in noi pensieri –
visioni, sovverte il modo di leggere le immagini che
quotidianamente vengono fatte vedere dai media.
“Una foto è sorprendente quando non si sa
perché è stata scattata. Una foto è sovversiva quando
suggerisce un pensiero e non uno spavento” (Roland Barthes).
Presentazione
SABATO 6 APRILE
Ore 16:30
Centro Congressi S. Martino
Relatori
Giuseppe Buondonno e
Pacifico D’Ercoli
Programma dei tre workshop organizzati da Fototeca Provincia
di Fermo
con particolare approfondimento su:
Monika Bulaj: “Il paesaggio come volto-specchio di un epoca”
previsto per il mese di aprile
La straordinaria capacità di diagnosi di Monika Bulay
consentirà ai partecipanti del workshop dedicato al
“Paesaggio”, il primo dei tre previsto per il mese di
aprile, di approfondire come il fotografo attraverso
l’incontro con le apparenze possa tentare di aderire al modo
di visione delle “cose” fotografate. Questo uno dei temi
ricorrenti, una sorta di
leitmotiv
continuativo, nello scenario interculturale di ‘fotogeografie’.
Il paesaggio che si lascia pensare, come viso e come
specchio. Specchio locale, che rinvia alle genti che abitano
l’illusione di un’identità nel mentre di luoghi che si
atteggiano e si omologano ad un progetto globale. Lo
specchio e il volto possono essere considerati l’immagine in
cui si è depositato il senso del paesaggio epocale. Si
potrebbe anche affermare che questa possa essere considerata
l’epoca della cancellazione dei luoghi e dei volti; una
sorta di omeomorfismo dove tutti in tuta mimetica si
guardano allo specchio per accomodare la visione da mostrare
agli altri.
Monika Bulaj insegna anche come sia possibile nella
topologia di scorrimento sulle superfici e nel conflitto fra
le collezioni di aperti, il ritrovamento di un dentro che
sta nelle storie viventi del paesaggio
• Oltre al particolare approfondimento riferito al workshop
sul paesaggio, le cui peculiarità sono state sviluppate e
concepite nell’ambito del programma ‘fotogeografie’,
verranno presentati i contenuti degli altre due “officine”
didattiche ed esperenziali dedicate alla Fotografia di moda
e industriale e alla Fotografia sociale “I luoghi
dell’aggregazione giovanile”.
Incontro
SABATO 6 APRILE
Ore 17:00
Centro Congressi S. Martino
Conduzione: Danilo Cognigni
Relatori: Franco Arminio (scrittore) -
Angelo Ferracuti (scrittore) - Olivo Barbieri
(fotografo)
Letteratura e fotografia, l’attrazione tra due mediazioni
linguistiche.”
La fotografia, intesa come finestra del testo o come modo di
vedere il nostro immaginario letterario, potrebbe essere
un’espressione minima per identificare l’attrazione quasi
bicentenaria tra le due mediazioni linguistiche.
Di certo, a prescindere dalle varie teorie ed esempi, in
questa ricca relazione, sia il fotografo che lo scrittore,
muovono verso un’immagine significativa capace di evolvere
in ‘apertura’ che tende a qualcosa che va molto oltre il
racconto.
Fotografia e letteratura si sono entrambe dedicate al
paesaggio considerandolo un crocevia intellettuale: un
passaggio ineludibile nella riflessione sulla modernità fino
a considerarlo un prodotto culturale.
Il paesaggio è una modalità arcaica del pensiero, la sua
descrizione/rappresentazione è l’espressione di
un’appartenenza e di una locazione.
Franco Arminio scrive l’intorno in modo corporale quasi
claustrofobico. Il piccolo, il paese, le vie; la dimensione
chiusa dei luoghi; il localismo.
Olivo Barbieri usa uno sguardo a volo d’uccello per gettare
un ponte tra il passato remoto e le dinamiche contemporanee
dell’abitare, che diviene antropologia filologica e anatomia
dell’immaginario.
Forzando l’utilizzo del linguaggio semiotico si potrebbe
dire che nella
rappresentazione, Arminio è la parte “figurativa” mentre
Barbieri quella “plastica”. Da questi due complementari può
sicuramente nascere un confronto, metodologico,
epistemologico; soprattutto politico.
• Proiezioni progetto “Site specific” di Olivo Barbieri
La vasta opera di Olivo Barbieri è caratterizzata non solo
dall’architettura e dallo scorcio dell’elemento
architettonico ma anche dalla messa in prospettiva dello
stesso, in pratica dall’ordinamento spaziale.
Barbieri indaga la forma delle città contemporanee e il modo
di percepire lo spazio. Visti dall’alto, gli agglomerati
urbani si mostrano come grande plastici in scala, dominati
da un tempo immobile che coincide con il nostro presente.
Piazze e strade, palazzi e monumenti sembrano nel loro gioco
di linee e di forme perdere consistenza, lasciando spazio
all’apparenza di un’installazione dalle forti componenti
concettuali. I territori fotografati, spesso
dall’elicottero, appaiono come visioni sorprendenti e
stranianti, fino a proporre un modo nuovo di analisi del
paesaggio capace di mettere in discussione la nostra
abituale modalità di percezione.
INFO: 342
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